Il Teatro Nazionale di Genova e la Scuola

Pensieri e riflessioni degli studenti in occasione della Giornata Mondiale del Teatro

Durante le stagioni del Teatro Nazionale di Genova sono sempre stati tantissimi i ragazzi in età scolastica presenti la sera a teatro: intere classi accompagnate dagli insegnanti, in gran parte studenti delle scuole superiori e talvolta delle scuole medie. Ora, con i teatri chiusi da più di cinque mesi, anche questa speciale categoria di spettatori sente la nostalgia di un rito che, al di là dei titoli più o meno legati al programma scolastico, rappresenta sempre un momento fuori dall’ordinario, una preziosa opportunità di scoperta e di socialità.
Abbiamo raccolto in questa pagina pensieri e riflessioni che alcuni di questi giovanissimi spettatori ci hanno voluto dedicare in occasione della Giornata Mondiale del Teatro, celebrata come consuetudine il 27 marzo e purtroppo, per il secondo anno consecutivo, con i teatri di tutta Italia e di gran parte del mondo ancora chiusi al pubblico.


Il teatro ci farà bene

Mi alzo dal letto e sento un brivido giù per la schiena, la gola secca e la fronte calda; subito corro intimorito a misurarmi la febbre, per poi scoprire di essere semplicemente un malato immaginario. Mi preparo per affrontare una delle tante giornate di questa tempesta infinita; girando per la città  fisso tutti quelli che passano come un orribile misantropo e dal balcone saluto la mia Giulietta quarantenata. All’ora di cena vorrei tanto poter aggiungere un posto a tavola, invitando amici e parenti come ho sempre fatto. A volte mi aggiro per casa chiedendomi in che direzione stia andando la mia vita, come un personaggio in cerca d’autore o un folle Enrico IV; è come se fossi in sospeso e immobile fisso il muro aspettando chissà cosa, forse aspettando Godot. Altre volte mi sento come chiuso in una casa di bambola, a vivere l’angosciosa crisi di Nora, desideroso di libertà e di una nuova esistenza. La propria casa diventa quasi una navicella, sopravvissuta alla fine del mondo e pronta a giocare il finale di partita. Vorrei solo dedicarmi alle smanie per la villeggiatura, ballare per strada come Billy Elliot ed essere un gabbiano che vola libero nel cielo.
La verità è che il teatro non ci abbandona mai. I sipari sono calati da più di un anno e i riflettori spenti, ma la vera luce, la fiamma del teatro continua ad ardere dentro a molte persone e non si spegnerà altrettanto facilmente. Il teatro e la cultura sono vita e finchè ci sarà l’umanità non scompariranno. Teatri chiusi significa non avere più un’agorà, perdere di vista i veri valori, perdere la relazione con l’altro, perdere umanità, privarsi della possibilità di specchiarsi, riconoscersi e ritrovarsi. Credo che questo basti per sottolineare quanto manchi tutto questo e quanto l’arte, il teatro e la cultura sono e saranno importanti per la ripartenza, per ritrovare l’amore per la vita e la gioia di vivere.
Matteo Federici, 5 F Liceo D’Oria


Michela Sansebastiano Liceo D'Oria
Michela Sansebastiano, Liceo D’Oria

Ogni giorno siamo spettatori della vita che abbiamo attorno e attori della nostra stessa vita.
Il 27 marzo ricorrerà la seconda giornata mondiale del teatro con i teatri chiusi. Non poter essere in teatro per celebrarlo, non ci vieta, come singoli individui, di reinventare le regole del teatro. Ma che cos’è veramente il teatro? Ognuno ha la propria visione: c’è chi sostiene che sia un luogo di ritrovo, dove si incontrano visi amici e nuove persone; c’è chi vede nella parola teatro il sinonimo di casa, di famiglia; altri ritengono che il teatro li aiuti a distogliere la loro mente dai problemi e dalle difficoltà della giornata, trovando nel teatro la libertà ormai persa nel mondo frenetico e iper connesso in cui viviamo.
Da più di un anno vivere il teatro è diventato davvero difficile. Nel 2020, durante il primo lockdown, ci siamo tutti reinventati, e così anche il teatro ha fatto, riprogrammando gli spettacoli online.
Abbiamo dato fino a quel momento tutto per scontato. Nessuno credeva troppo nella celebre frase di Orazio “Carpe Diem”, finché ci siamo veramente resi conto di cosa la pandemia ci ha portato via e di come non apprezzavamo le piccole cose.
Per fare teatro basta un piccolo spazio e un po’ di tempo. Ogni parola, ogni azione, ogni situazione potrebbe essere l’inizio di una rappresentazione teatrale.
Nel 2020 ci hanno lasciato molte persone, tra queste Luis Sepúlveda, Paolo Rossi (ricordato da tutti per quella famosa estate dell’82), Sean Connery (James Bond per antonomasia) e tanti altri, tra cui anche persone care.
Quest’anno ci ha lasciato una grandissima persona del teatro, Marco Sciaccaluga. Regista e attore che ha lasciato nel cuore delle persone che ha conosciuto la migliore parte di sé.
Mi ricordo di lui, fu il primo ospite a scuola che ci venne a fare una lezione sul teatro, un uomo dalla cultura straordinaria. Con lui voglio ancora ricordare che ogni giorno siamo spettatori della vita che abbiamo attorno e attori della nostra stessa vita.
Fare teatro è importante e questa chiusura prolungata non sarà per sempre.
Buona giornata mondiale del teatro a tutti!
Elisabetta Roncarolo, 5 F Liceo D’Oria


Giuseppe Palmieri, Liceo D’Oria

Diario di un’attrice disoccupata

Oggi, la vita del teatro è diventata veramente drammatica. C’è da chiedersi se riprenderà e soprattutto se sarà mai come prima. Certo attori e spettacoli hanno vissuto i loro debutti difficili, situazioni complicate, immagino sostituzioni dell’ultimo momento, scenografie crollate o altre cose che nemmeno riesco ad immaginare avendo così poca esperienza nel campo.  Credo però che gli attori non abbiano mai perso la loro volontà di tenere duro anche nei momenti non proprio fortunati in virtù delle tante possibilità e dell’entusiasmo che questo mestiere richiede. Questa volta è diverso, molto: i teatri rischiano di chiudere e non riaprire mai più. E in un momento in cui l’arte e la cultura vengono messi da parte senza pensarci due volte e valutati come elementi non essenziali, in giorni in cui la paura e la divisione occupano le nostre giornate, penso che l’arte sia assolutamente necessaria perché è cura per l’anima e la condivisione e partecipazione sono autentici motivi di vita.

8 marzo 2020 – GIORNO 1 Non ci posso credere! Così, da un giorno all’altro, dopo aver fatto prove e riprove, quando eravamo pronti al debutto e Dio solo sa quanta paura ho accumulato ma anche quanta emozione, tutti i canali di comunicazione dicono lockdown! Sono certa che Dante si rivolterebbe nella tomba!
GIORNO 36 Già che ci sono ripeto ancora la parte, in caso dovessero riaprire il teatro domani? O forse tra una settimana? Intanto a casa mi annoio tanto e vivo sola con il mio gatto Ernesto, mio compagno di morbidezza e di fusa infinite. Recito per te mio caro Ernesto che sembri interessato solo quando faccio qualche salto repentino o quando alzo la voce per poi ritornare a dormire non del tutto indisturbato. Certo fare la parte del protagonista di Oliver Twist e pure vestirmi da maschio, è stata un’impresa impegnativa!

GIORNO 103 L’estate è arrivata, e con l’estate la mia compagnia ha deciso di mettere in piedi un piccolo spettacolo itinerante nelle ville e nei luoghi storici, rigorosamente all’aperto. Non vedo l’ora di riprendere, non sto più nella pelle. Oliver Twist arrivo!!!!
GIORNO 104 Conte ha detto no, niente spettacoli. La fiamma che si era accesa si è subito spenta, il fuoco che ho dentro rischia di bruciarmi invece che splendere e riflettere la mia gioia per questo mestiere. Meno male che mamma e papà mi aiutano a pagare l’affitto e che la mia casa è piccola piccola.


Non so più che cosa pensare o desiderare in questo momento. Delusione!!!
GIORNO 150 Niente vacanze, niente lavoro, ma c’è il sole, sempre, con gli amici e compagni di sventura, attori sull’orlo di una crisi di nervi, andiamo a mangiarci una pizza, a fare un bagno e parliamo ancora una volta dei progetti futuri, Io NON mi arrendo so che riprenderò a fare quello che amo presto, sono fiduciosa.
GIORNO 208 Ok ok, avevo detto tante volte che avrei resistito ma mi è capitato un lavoro e in questi momenti non si può dire no .A volte mi chiedo come sarebbe recitare sul set di un film, con una telecamera che mi guarda e tiene fisso il suo obiettivo su di me, ma ora basta fantasticare, devo andare a ritagliare qualche clip da mettere con la musica giusta.
GIORNO 298 Capodanno, già! Siamo tutti rinchiusi ed io stasera ho deciso di recitare per i miei parenti, oggi sono Giulietta (si quella di Romeo) che si è suicidata perché all’epoca non avevano whatsapp, e sarò sola nel piccolo palco che è il salotto dei miei ma la passione non manca mai o forse sono loro ad incoraggiarmi e ad applaudire dicendo che sono davvero la migliore!!! Grazie mamma e papà,

intenditori!!!

GIORNO 365 È passato un anno caro diario ed ora sono riuscita a darti persino un nome “Wilson”, come il pallone di Cast Away, un film che ho visto con i miei proprio ieri sera. Si, ho dovuto rinunciare alla mia piccola casa, una piccola attrice che non lavora più non riesce a mantenersi da sola. I miei mi hanno riaccolto a braccia aperte e di questo non avevo dubbi. Non è una sconfitta, non è colpa mia. Se un giorno riprenderemo a recitare non resterò indietro, ce la metterò tutta. Ne sono certa.
Stasera ho iniziato una serie TV su Netflix, aiuto!!! Non riesco più a fermarmi. Se trovo una scena particolarmente bella la riguardo più e più volte e mi sostituisco all’attrice recitando davanti allo specchio. So che i miei non penseranno che sono impazzita almeno, non meno di loro!
A domani Wilson.
Amanda Penso, 2 F Liceo D’Oria


Mirò Barbieri, Liceo D’Oria

LICEO D’ORIA

Uno spirito antico si aggira per le strade vuote.
Si sente solo, annunciato da trombe immerse nel vino di Bacco, silenziose, inascoltate.
La sua stessa corte è muta.
Gli squilli dei cellulari non sono più un problema perché i loro proprietari non si affollano più sotto al suo salotto.
Chi tremerà davanti al potente Zeus?
Amleto è davvero solo adesso e il suo teschio è muto davanti a lui, a guardarlo con quelle orbite vuote. Il principe non parla più.
Le baccanti, stufe, hanno realizzato degli aghi dalle ossa degli animali e con questi rattoppano gli abiti strappati e sporchi di sangue di Riccardo terzo, mentre Dioniso si prende cura del suo cavallo, ridendo dell’infelice sorte del sovrano d’Inghilterra.
All’inizio era anche divertente, o quantomeno diverso; conoscere anche gli altri, creare drammi e commedie… Ma ora… La routine è vuota e noiosa.
Dietro a quelle porte chiuse, con luci e rumori innumerevoli personaggi fantastici e storici discutono e vivono.
Aspettano.
Ma lo spirito, triste, si adagia sui muretti, triste, non capendo cosa gli impedisca di tornare a casa sua.
Che sia troppo vecchio?
Eppure lui credeva… che qualcuno ad apprezzarlo ancora ci fosse.
Che siano morti tutti?
Gli uomini vivono così poco in fondo… Non sono come i suoi personaggi.
Lo spirito, sconsolato, ha passato già un anno su quel muretto, tenuto lontano dalle porte scure da uno strano cartello e una serratura girata.
E intanto, oltre quei vetri neri, Bruto cura le ferite del padre.


Lettera al teatro

Sono una persona molto empatica, mi trovo facilmente coinvolta con i protagonisti durante i film o le esibizioni; gioisco, soffro e mi arrabbio insieme ai personaggi, lasciando ogni volta il cinema o il teatro con una migliore visione del mondo, o comunque una visione differente da quella con cui sono entrata, come se avessi vissuto personalmente le situazioni descritte sul palco tanto è grande il mio coinvolgimento emotivo e questa è la dimostrazione che il teatro arricchisce la personalità di un individuo.
Era tradizione mia e di mia madre frequentarlo, dove io non avevo occhi che per il palco e solo ora scrivendo mi rendo conto di quanto azioni per me così abitudinarie un tempo, ora risultino strane, inusuali. Sembra impossibile infatti, ad oggi, pensare a uno spazio chiuso, come il teatro, pieno di persone.
Mi manca il contatto con la gente, osservare i loro comportamenti e le loro diverse reazioni. Infatti il pubblico mi ha sempre affascinato, ogni persona reagisce alle varie vicende, durante la rappresentazione, in modo diverso e la loro interpretazione spesso differisce dalla mia e ciò comporta un confronto, che penso sia quello di cui più sento la mancanza: ricevere un’opinione diversa dalla propria e nuovi stimoli sono alla base della crescita personale perché rendono possibile allargare i propri orizzonti, guardando con una nuova prospettiva e punti di vista ai quali non avresti mai pensato in camera, sul letto, da sola.
La pandemia ha comportato, oltre alle innumerevoli perdite, la mancanza di momenti di svago, come quelli a teatro, la monotonia che è stata provocata dalle restrizioni e il non riuscire ad avere più passione in nulla, perchè pure ció che facevamo con piacere, non è più un momento di sollievo dai mille impegni, bensì l’unico impegno in un momento così vuoto di azioni, e si sa che quando diventa un dovere viene lasciato il piacere nel farlo. Questo può essere il guardare un film, leggere un libro, ascoltare la musica, tutti ambiti importanti per la cultura personale.
Abbiamo bisogni di nuovi stimoli, novità, notizie positive e non più schermi, ma sappiamo benissimo che dobbiamo tener duro finchè la situazione non si sistemerà. Nessuno sa quando accadrà, ma sta nel singolo individuo pensare positivo e capire che tutto prima o poi passerà, la fine sarà bellissima e io voglio arrivarci piena di speranza, assolutamente non priva di forze, come comporta la negatività.
Victoria Grandeaux, 2 F Liceo D’Oria


Hana Daneri, Liceo D’Oria

ISTITUTO MONTALE

Un anno fa, la platea vuota significava molte cose.
Poteva significare prova generale: quella sensazione di attesa quasi migliore dell’esibizione in sé, il giorno in cui finalmente si provava il costume completo entrando completamente nel personaggio, il giorno in cui si posizionavano gli strumenti, in cui si preparava la scenografia…
Oppure significava una normale lezione, un esercizio di improvvisazione, una visita…
Un anno fa significava molte cose, ma di certo non significava tristezza.
Il teatro non è uno schermo digitale.
Il teatro è contatto, è intesa. È un mondo a sé che non si può spiegare, in cui parola e azione danzano insieme in infiniti modi diversi. Il teatro è creatività, immaginazione.
È un modo misterioso di uscire dalla realtà, che manca a tutti.
Torneremo ad assaporare quella magia che è il teatro, torneremo su quel palco. Coraggio, non è per sempre.
Cecilia B.

Le uniche volte che sono andata a teatro sono state per vedere dei musical o per delle manifestazioni scolastiche.
In tutti i casi ho avuto la stessa sensazione, di felicità e curiosità per ciò che avrei visto.
Per me il teatro è un luogo magico fatto di suoni e luci e sapere che adesso è un edificio vuoto e buio mi mette tristezza, così come non vedere più spettacoli dal vivo e non vedere gli attori esprimersi al meglio attraverso la recitazione. In questo momento il mondo del teatro è in ginocchio e si è adoperato a fare dirette sui social per fare arrivare la stessa emozione. È ovvio: attraverso lo schermo questo non è molto semplice, non è come assistere dal vivo quando sei concentrato  e segui la storia con spensieratezza.
Martina C.

Ho molti ricordi belli del teatro, da quando ero molto piccola fino alle Medie. Quando ero alle Elementari mi portavano spesso i miei nonni, mentre quando sono cresciuta mi piaceva andarci con i miei amici, in un’uscita che la mia scuola organizzava ogni due mesi. Quando andavo a teatro c’era quell’atmosfera di inaspettato perché, anche se conoscevi già la storia, l’interpretazione poteva essere diversa. Quando avevo tre anni e i miei nonni mi dicevano che sarebbero andati a teatro me li immaginavano vestiti elegantemente a vedere qualcosa di complicato che io non avrei potuto capire, e mi aspettavo la platea piena di persone importanti. Ora so invece che il teatro può essere alla portata di tutti, se si può capirlo.
Alessandra C.

Penso che il teatro sia un’occasione molto efficace per esprimere le proprie emozioni, non sempre solo attraverso le parole, ma anche con i gesti. Molte persone timide trovano difficoltoso manifestare le loro emozioni e i loro pensieri e il teatro può essere la via della libertà. Ora che i teatri sono chiusi, quanti  prima vi trascorrevano intense giornate possono vedere questo luogo solo attraverso uno streaming, che ovviamente non è lo stesso di essere dal vivo. Spero che i teatri vengano riaperti al più presto poiché anche a me piace stare in questo ambiente.
Nicholas C.

Penso che in un periodo come questo il teatro sarebbe uno degli svaghi migliori per non pensare alla brutta situazione che stiamo vivendo, perché a teatro si ride, ci si emoziona e soprattutto si riflette. Non è una cosa banale, vedere la platea vuota per così tanto tempo. Ci fa capire veramente che ogni cosa che noi pensiamo sia banale, adesso non lo è più. Adesso faremmo di tutto per uscire e avere una serata dove si ride, ci si diverte, dove tutto questo panico potrebbe svanire in una serata, andando solamente a teatro.  Tutto questo tornerà, torneremo a ridere e a incontrarci come facevamo una volta, torneremo a passare giornate con altre persone senza avere la paura che succeda qualcosa, torneremo a trascorrere serate ai teatri e ai cinema… torneremo, ancora più forti.
Asia F.   

Ricordo che, quand’ero bambina, andavo spesso a teatro, circa una volta al mese, con la mia famiglia; erano spettacoli di poco conto, niente di impegnativo, ma per me rappresentavano una delle rare occasioni durante le quali riuscivamo a stare tutti insieme, senza tutta la fretta che ci aspettava nel “mondo esterno”. Il teatro, per me, era, in effetti, una delle tante vie di fuga dalla vita reale, era un luogo magico, dove poteva accadere di tutto. Ogni giorno una storia nuova, storie che sapevano coinvolgerti, sapevano farti divertire, emozionare, ed anche riflettere. Oggi le persone vanno sempre meno a teatro, e questa situazione nella quale ci ritroviamo non ha certo aiutato. La mia speranza è che, quando tutto questo sarà finito, potremo finalmente tornare a teatro e sentire di nuovo quella magica atmosfera che solo la vista del palcoscenico sapeva darci; rivivere quelle sensazioni che in molti abbiamo purtroppo dimenticato.
Angelica R.

Il teatro per me fin da piccolo è stato una fonte di svago e divertimento. La prima volta che sono andato a teatro ero il protagonista di uno spettacolo, che avevamo preparato  alle elementari dal  titolo Oliver Twist.  Come secondo spettacolo ho partecipato a Il mago di Oz, ma, come spettatore, l’ultima volta a cui ho assistito a una esibizione è stata quella di Angelo Pintus, un famoso comico. Il non andare più a teatro suscita in me una certa tristezza interiore perché fin dall’antichità è stata una fonte di svago molto importante e lo è anche adesso e molte persone hanno perso o perderanno il lavoro a causa di questa chiusura.
Matteo V.

Un’immagine di un teatro vuoto è semplice, ma allo stesso genera diverse tipi di emozioni, da quelle più tristi a quelle più felici di momenti passati che ci fanno ricordare solo la situazione in cui siamo ora. A vederlo così provo un senso di nostalgia e vuoto dentro, pensando a come potrei essere seduta lì, insieme ai miei compagni di classe facendo commenti sulla scena che si sta svolgendo a pochi metri da me sul palcoscenico e a come, pochi minuti prima dell’inizio, ci litigavamo i posti per stare vicino ai nostri amici e allo stesso tempo avere una bella visuale. Di tutto ciò rimane solo il ricordo e la speranza che succeda di nuovo e non si  perda questa opportunità.
Sofia T.

Nella mia vita sono stata poche volte a teatro, ma nonostante ciò ho sempre apprezzato l’atmosfera che si respirava. Andarci rappresentava per me passare una serata piacevole con mia madre, o con un mio amico. Un momento di sana distrazione e un modo di impiegare bene il proprio tempo libero, a mio parere.
Senza alcun dubbio il mondo dello spettacolo ha risentito enormemente dei danni causati dalla pandemia, e vedere questa foto mi trasmette un grande senso di vuoto e mi fa riflettere. Posso soltanto lontanamente immaginare i problemi che ciò che stiamo vivendo abbia portato a chi vive di questo settore e non solo.
Se dovessi cercare un aspetto positivo, anche se abbastanza insignificante, in tutto ciò, è che quando si potrà di nuovo finalmente andare a teatro le persone andranno in massa, e soprattutto apprezzeranno molto di più la magica atmosfera che si respira a teatro, dello stare in compagnia, in mezzo alle persone.
Alessia P.

L’immagine della platea vuota mi fa venire un senso di angoscia e dispiacere perché fino a un anno fa il teatro era un luogo di divertimento e aggregazione normalissimo da frequentare. Pensare che ad oggi sono quasi 14 mesi che i teatri sono chiusi al pubblico è orribile, perché non è chiusa solo la struttura in sé, ma anche le possibilità di lavoro di migliaia di persone: maschere, attrezzisti, produttori, costumisti, attori, tecnici etc.
Non ho mai ambito a salire su un palcoscenico, a causa della mia timidezza, ho sempre preferito stare dietro le quinte anche per quel che riguarda la mia vita.
Vedere, ancora oggi, i teatri vuoti come tante altre attività fa presagire che le promesse di un anno fa, a cui credevo, risultino vane e questo è un pensiero che ultimamente ho di frequente. Andavo spesso ad assistere a spettacoli teatrali grazie a mia zia, stretta collaboratrice di un noto teatro genovese e oggi anche parlando con lei non riusciamo ad essere ottimiste, è come se quel vuoto in platea e sul palco rispecchiasse, in questo momento, lo stato d’animo di tutti coloro che hanno sempre lavorato per noi in quanto pubblico.
Laura M.

È ormai da un anno che moltissime attività sono rimaste ferme a causa della pandemia che c’è in corso e anche le cose più banali, come un’uscita a teatro con la tua classe, non si possono più fare. Questa situazione  ci può far riflettere perché molte volte abbiamo dato per scontato queste piccole occasioni, a volte considerate noiose e trattate con superficialità, ma che erano un momento per passare una mattinata diversa in compagnia dei tuoi amici.
In questa immagine si può vedere una delle tante platee rimaste vuote, che non possono più accogliere nessuno spettatore.
Mi vengono in mente tutte le recite fatte all’asilo con i miei compagni, quelle sedie erano piene di genitori e parenti che non vedevano l’ora di vedere il proprio bimbo salire sul palco, pronti con videocamere per registrare il tutto. Quella sensazione che il teatro ti faceva provare era qualcosa di unico, sia quando eri sul palcoscenico, ma anche quando eri tu seduto su quelle sedie rosse a goderti lo spettacolo, ignaro magari che quella sarebbe stata la tua ultima volta. Purtroppo tutto ciò sta diventando solo un ricordo lontano…
Sofia L.

L’immagine della platea vuota risuscita in me quel senso di solitudine e nostalgia che credo stia provando in molti dall’inizio dell’attuale emergenza sanitaria, nostalgia, in questo caso, di qualcosa che forse non ho mai vissuto a pieno, perché io personalmente non sono solita frequentare il teatro. Questo non significa che l’immagine non susciti in me un sentimento legato a qualcosa che ormai vedo come lontano, ovvero il vivere le cose normalmente e la condivisione di momenti che prima consideravo banali.
Sono stata poche volte a teatro nella mia vita, ma non mi ritirerò se mi si proporrà l’occasione di andarci, proprio perché per la situazione attuale andare a teatro significherebbe anche ristabilire quel contatto emotivo che, un po’ per conseguenza, sembra essere svanito, insieme a quello a cui abbiamo dovuto rinunciare fisicamente.
Penso che il Covid ci abbia in qualche modo privato di tutte le emozioni e sensazioni che il teatro poteva dare, perché nonostante non si sia davvero “fermato”, online non è mai lo stesso, e questo accade anche per la scuola: il virus ci ha imposto lontananza, separazione e quasi un azzeramento delle relazioni, non siamo mai stati così lontani, e andare a teatro secondo me significa proprio contatto, vicinanza, calore.
Erika L.


Siamo ancora qui.
Stiamo ancora provando, eccoci. Sul palco con le poltroncine vuote da mesi, a montare la scenografia, a provare le battute, a cambiare movimenti, a passare e ripassare più volte su scene che il pubblico avrebbe dovuto vedere mesi fa.
Ci siamo.
Solo che non ci vede nessuno.
Lo spettacolo è Stato d’assedio di Camus. Un po’ ironico, se sapete di cosa parla. La Peste personificata arriva in città, prende il posto della Duchessa e… non vorrei rivelare troppo, ma ci sono ordinanze e amanti separati e nichilismo.
Non è stata una cosa volontaria, per quanto questo spettacolo sia molto adatto alla situazione. Sapete cosa dico nel primo atto? «Tutti i fuochi saranno spenti dopo le ore nove della sera e nessun uomo si troverà in luogo pubblico o si aggirerà per le vie della città senza un lasciapassare regolarmente rilasciato». E dico anche: «Tutte le riunioni pubbliche sono interdette e tutti i divertimenti proibiti». Ci abbiamo pensato prima che chiudessero i teatri, le scuole e i cinema, a mettere su questo spettacolo. Forse abbiamo portato sfortuna.
Il problema principale, però, è che non sappiamo niente, che il nostro spettacolo è molto più realistico di quanto inizialmente previsto. Ci vediamo tutte le settimane e stiamo qui a lavorare, lavorare per cosa, esattamente? Ci divertiamo ma sembra di non andare da nessuna parte.
Il teatro non c’è senza la compagnia degli altri.
Siamo pronti, vogliamo muoverci, vogliamo esibirci, vogliamo raccontare la storia che ha scritto Camus come la vediamo noi, vogliamo intrattenervi e catturarvi per un’ora o poco più ma non potete venirci a trovare.
Ci mancate.
Gli attori ci sono, il pubblico ci sarebbe, ma non possiamo incontrarci.
E cos’è l’arte senza uno spettatore? Niente, un agitarsi senza senso, non possiamo raccontare una storia al niente, sarebbe come parlare in una lingua sconosciuta e inventata, andare bene o andare male sarebbe lo stesso. Tutto quello a cui lavoriamo ha davvero un valore solo se arriva a qualcuno, se colpisce qualcuno.
Noi aspettiamo, promesso, siamo ancora qui.
Ci vedremo presto, spero.
Irene Marchiori, 5 F Liceo D’Oria


Bianca Rizzo, Liceo D’Oria

Acta suspiria

Si agitavano nel tuo rimembrar coppie
filiformi, ipnotiche, ritmiche, silenziosi
abitanti di un tumulto interiore
che cercavano i tuoi timori tremanti,

in un fumo che sapeva di voci e di suoni.
Solevamo commentar, distratti, l’alba
degli amori di una bellezza spartana,
di cagion discordia tra numi olimpi.

Ora distanti: mentre mobili pilastri di velluto
si chiudono, si squarcia il velo dell’anima.
Abili cantori dell’ umane miserie,
nobili vergini nel vuoto danzanti,

anonimi di seta scultori pazienti:
negli occhi del mio viso rifletter vi miro,
benché rigato di lunghe, sopite lacrime.
Giammai il crudel morbo rapir può il profondo sospiro.

Giovanni Spina, 5 B Liceo King


Marco Vecchio, Liceo D’Oria

Lettera al teatro

Caro Teatro,
è trascorso un lungo e faticoso anno da quando la pandemia da Covid-19 ha costruito tante regole, porte chiuse, assenza di contatti.
Mi manchi perché con te ho scoperto la possibilità di conoscere  alcune parti di me ed altri modi di esprimersi: con il corpo, con la voce, con la musica.
Ti ho seguito nella tua forma “itinerante” in una calda giornata d’estate tra Camogli e Punta Chiappa mentre raccontavi la storia del Professore innamorato della Sirena; mi hai emozionato quando seduta in poltrona mi hai portato con te nella tragedia di Troia.
Mi manca il calore delle persone, la possibilità di viaggiare con la mente in altri luoghi, spazi, tempi. Mi manca poter, con te, sognare di vivere la vita di altri o piangere assieme alle tristezze che nascondi nelle tue scene.
Perché Tu sei spazio, tempo, relazione, incontro, dialogo, viaggio verso e dentro l’altro, scoperta, esplorazione e confronto.
Speriamo di incontrarci presto per vivere assieme nuove avventure.
Tua Anna.
Anna Lowenberger, 1 F Liceo D’Oria


Riflessione e desiderio di normalità

È mai capitato, a voi, d’avere talmente tante cose da dire da ritrovarsi muti? (Pausa, prende una sedia e si siede)
Per anni ho cercato qualche cosa che potesse farmi sentire viva, che sapesse modellarmi come se fossi d’argilla. (Pausa)
Il teatro per me è questo.
Ho un attaccamento molto forte all’odore del palcoscenico e all’ansia dello stare dietro le quinte prima di uno spettacolo, tutto ciò mi manca da impazzire, anzi da impazzirci, perché io almeno una volta all’anno devo salire su un palco. È proprio una cosa mia, chiedo scusa, ma senza di lui io non ce la faccio, mi sento come se fossi circondata da un muro invalicabile, una cosa assurda. (Pausa)
Ma ciò che proprio mi fa arrabbiare è che molti pensano che sia possibile provare le stesse sensazioni online.
Bene, NO.
Ora lo si fa per sopravvivere, certo, ma dico di “no” per il semplice fatto che il teatro – come i musei e quant’altro – non è fatto per stare su Internet. È necessario in questi tempi, ma non deve diventare l’unico modo, perché è così che si distrugge l’arte.
Fittizio non può stare con fittizio, tantopiù che, questo è il bello, nonostante si rappresenti irrealtà, non c’è nulla di più concreto del teatro. E proprio per questo non può essere limitato da uno schermo, esattamente come per i cinema – se ci fate caso, guardare un film su Netflix o altro non è la stessa cosa che guardarlo sul grande schermo – i musei, i concerti e chi più ne ha più ne metta, come si suol dire. (Pausa)
La cosa più assurda è che ci siamo accorti solo adesso della magia del vivere dal vivo questi luoghi e di quanto, ora che sono chiusi da più di un anno, ci manchino.
Beatrice Papei, 2 F Liceo D’Oria


Non si arrendono mai

Genesio di Roma, protettore degli attori di teatro, parla con la sua coscienza:
“Li aiutiamo?”
“No.”
“Quanto tempo è passato?”
“Tanto.”
“L’umanità è in crisi totale. Le genti non sanno più come affrontare questa situazione. Le persone non hanno più la possibilità di diffondere ed esprimere i loro sentimenti tramite gesta, parole, discorsi, conversazioni.”
“E ciò dove avveniva prima?”
“Nei teatri. Sui palchi, nelle piazze, nei luoghi di ritrovo. Ora non ne hanno più la possibilità, devono badare alla loro salute.”
“Ho sentito che hanno trovato un nuovo modo di comunicare i loro pensieri.”
“Sono tornati tutti all’utilizzo dei piccioni viaggiatori?”
“Più o meno. Solo che il piccione è invisibile, viaggia con le loro parole, le loro immagini, i loro movimenti e le loro sensazioni, viaggia attraverso il vuoto, per giungere alle altre persone.”
“Che cosa terribilmente affascinante.”
“Già.”
“Quindi non li aiuteremo?”
“No. Si stanno già aiutando tra di loro. Mi arrivano i pensieri delle persone, riesco a ricevere le loro emozioni. Si aiutano, ce la stanno mettendo tutta, affrontano quel dannato virus con tutte le loro forze. Vogliono tornare a confrontarsi di persona, non tramite piccioni invisibili che volano nello spazio.”
“E gli attori?”
“Gli attori vogliono tornare a recitare. Vogliono esprimere i sentimenti con le gesta, portare sorrisi a chi li guarda e ascolta. Desiderano col cuore osservare gli sguardi delle persone che fanno ridere e piangere. Loro non si arrendono mai, non l’hanno mai fatto. Hanno superato enormi difficoltà, difficoltà che persone troppo comuni non potrebbero nemmeno immaginare.”
“È vero. È così vero che riesco a sentire il battito dei loro cuori. Ora ricordo, io sono qui per proteggere i loro cuori, cuori fragili all’interno, ma forti e ricchi di volontà all’esterno, per questo non si arrenderanno mai. in cambio, loro proteggono il mio animo e mantengono in vita il teatro.”
“Quanto tempo è passato?”
“È passato un anno.”
Benedetta Eide,  2 F Liceo D’Oria


Uno spirito antico si aggira per le strade vuote.
Si sente solo, annunciato da trombe immerse nel vino di Bacco, silenziose, inascoltate.
La sua stessa corte è muta.
Gli squilli dei cellulari non sono più un problema perché i loro proprietari non si affollano più sotto al suo salotto.
Chi tremerà davanti al potente Zeus?
Amleto è davvero solo adesso e il suo teschio è muto davanti a lui, a guardarlo con quelle orbite vuote. Il principe non parla più.
Le baccanti, stufe, hanno realizzato degli aghi dalle ossa degli animali e con questi rattoppano gli abiti strappati e sporchi di sangue di Riccardo III, mentre Dioniso si prende cura del suo cavallo, ridendo dell’infelice sorte del sovrano d’Inghilterra.
All’inizio era anche divertente, o quantomeno diverso; conoscere anche gli altri, creare drammi e commedie… Ma ora… La routine è vuota e noiosa.
Dietro a quelle porte chiuse, con luci e rumori innumerevoli personaggi fantastici e storici discutono e vivono.
Aspettano.
Ma lo spirito, triste, si adagia sui muretti, triste, non capendo cosa gli impedisca di tornare a casa sua.
Che sia troppo vecchio?
Eppure lui credeva… che qualcuno ad apprezzarlo ancora ci fosse.
Che siano morti tutti?
Gli uomini vivono così poco in fondo… Non sono come i suoi personaggi.
Lo spirito, sconsolato, ha passato già un anno su quel muretto, tenuto lontano dalle porte scure da uno strano cartello e una serratura girata.
E intanto, oltre quei vetri neri, Bruto cura le ferite del padre.
Bianca Piccoli, 5 F Liceo D’Oria


Cultura virtuale

Come Nietzsche aveva già esposto a suo tempo, ancora oggi la società moderna considera il teatro una forma di svago, un momento di ricreazione individuale votata all’intrattenere una mente sfiancata e distoglierla dalle sue fatiche quotidiane. Eppure il teatro non è nato per questo e il buon teatro non fa questo.
Il teatro è contatto tra l’attore e lo spettatore, è l’emozione che vibra tra un corpo e l’altro,  due sguardi che si incrociano per una frazione di secondo al momento degli applausi. Il teatro è maestro: insegna che è il corpo a impregnare le parole di una potenza comunicativa straordinaria; il teatro è socializzazione, è trasmissione e scambio di valori, idee, cultura attraverso voce, corpo ed emozione. Il teatro è l’uomo messo a nudo su un palco, disposto a confidare ogni suo segreto a chiunque sia disposto a prestare il suo orecchio; è una mano tesa, pronta a sostenere chi abbia bisogno di un appoggio.
Spesso ci rifugiavamo nel mondo virtuale per astrarci da ciò che nella nostra vita ci sopraffaceva, adesso la nostra via di fuga è diventata la nostra prigione. Il teatro è necessario, adesso, per trovare sollievo e sarà ancor più vitale per tornare alla normalità.
Eleonora Ghiotto, 5 F Liceo D’Oria


L’arte ai tempi della pandemia

Il teatro, i quadri, la musica e la letteratura sono da sempre parte integrante della società. Arricchiscono l’anima, fanno sognare, riescono a trasmettere forti emozioni, appassionano, e più di ogni altra cosa, ci rendono umani, ci rendono vivi.
Il mio pensiero va a un paese, a un mondo, colpito dalla pandemia di covid-19, reso schiavo dall’obbligo di condurre una vita sedentaria, dunque dalla pigrizia.
Il mio pensiero va a ciò che stiamo dimenticando, alla capacità di guardare al passato per conoscere meglio il presente, ad emozionarci attraverso le grandi forme d’arte, a viaggiare e scoprire il mondo da diverse prospettive.
Il mio pensiero va agli attori, ai musicisti che, non potendo più esprimersi nei modi che solo loro conoscono, sono costretti a dimenticarsi, lentamente, del loro grande piccolo mondo, della tensione prima delle esibizioni, della concentrazione maniacale nel tentativo di fare del loro meglio, del sudore e dei brividi che solo chi sta su un palco può conoscere.
Il mio pensiero va a un’Italia che nonostante la pandemia, non si deve dimenticare del grande patrimonio, morale e materiale, che da molti secoli ci portiamo dietro, e che ora rischia, più velocemente di quanto si pensi, di dissolversi.
Emiliano Basilico, 1 F Liceo D’Oria


Luci spente: cultura virtuale

Brusio, luci soffuse, passi svelti e agitati dietro il sipario, tutto è pronto. Buio. Sipario.
2020: Chiuso. Fine della magia.
Ormai ad un anno dalla “scomparsa” dell’arte possiamo solo accontentarci di ricordare vecchie sensazioni, vecchi sentimenti, vecchia vita. Chissà poi se tornerà questa tanto rimpianta – vecchia vita. In questo marasma dilagante di proposte e di tematiche sui più disparati aspetti sociodinamici del vivere, in un momento storico in cui la cultura dovrebbe risollevare il morale delle persone, i nostri politici, i nostri grandi capi, la sbarrano, la riducono a polvere, la congelano. E allora congeliamo tutto, non ci serve la cultura, non ci serve l’arte, non ci serve il teatro.
Del resto basta trovare compromessi, ignobili compromessi, che possono risolvere tutto, che non cambieranno nulla, tutto rimarrà uguale a prima… solo un po’ diverso. Le nostre vite da un anno a questa parte sono fatte solo di questi benedetti compromessi.
Mettiamo il teatro su Meet, facciamo poesia su Zoom, cantiamo un po’ su Skype!
Cosa dobbiamo aspettarci ancora? Un nuovo Lockdown? Un ennesimo DPCM? Siamo finiti col riporre le nostre speranze nella mappatura a colori della nostra Italia, della nostra amara “serva Italia”, a cui tanto vogliamo bene, ma che siamo finiti col dividere ancora di più, come la tavolozza di un pittore. Un pittore un po’ distratto.
Ma cerchiamolo un motivo, cerchiamo la ragione di questa chiusura radicale dei nostri templi sacri dove un tempo facevano Arte, la nostra amata Arte, quella genuina, quella sana che ci riempie il cuore di conoscenza, che lo fa ardere, lo fa battere. Perché sì, è come se si fosse un po’ fermato, insieme a lei, come se avesse smesso di funzionare, come se si fosse ammalato, di un male incurabile, risanabile solo con una medicina, a noi vietata.
Siamo come bloccati nel limbo che divide l’ultimo respiro dell’attore prima dell’accensione dei riflettori.
Allora aspettiamo, immobili, nel buio. Sipario. Luce.
Isabella Loi, 5 F Liceo D’Oria


Immagina

Immagina: una sera ti viene voglia di vedere uno spettacolo, quindi esci da casa e ti dirigi verso un teatro e quando arrivi, trovi tutte le porte chiuse e le luci spente e un cartello appeso al vetro con scritto “TEATRO CHIUSO, CAUSA PANDEMIA”.
Tornando indietro cammini a testa bassa con lo sguardo perso, non riesci a capire e ti senti un po’ deluso. Quindi finalmente arrivi a casa e ti butti sul divano, accendi il telefono e cerchi sul web qualche spettacolo. Trovi un video di 40 minuti che decidi di guardare, ma arrivato a circa metà del video ti annoi e non ti diverti più nel vedere qualcosa che prima ti appassionava e ti faceva emozionare, quindi smetti di guardare il video e ascolti un po’ di musica con le cuffiette pensando un po’ a cosa è appena accaduto. Ragioni su quanto sia assurdo che a causa di un virus i tuoi sogni si siano fermati, perché tu da grande avresti voluto fare l’attore e andare a teatro per te era come andare a scuola, ad ogni parola del copione imparavi qualcosa dagli attori che recitavano sul palco. E capisci che invece dei riflettori si sono accesi i timori e le paure della gente che è terrorizzata dalla possibilità di ammalarsi e perdere la propria vita o quella dei propri cari. Percepisci la tristezza improvvisa nell’aria che respiri e non riesci a capacitarti di quello sta accadendo al mondo. Ti affacci alla finestra e vedi persone che camminano cercando di stare lontane con un pezzo di stoffa blu che ricopre i loro volti e riesci solo a vedere i loro sguardi spenti, stanchi di questa situazione. Immagina che tutto questo ti accada una sera in cui ti annoi e vai a vedere uno spettacolo a teatro con gli occhi che luccicano di allegria. Immagina questa storiella che ti ho raccontato, che è un pò strana e ti sembra un po’ surreale, poi togliti le cuffiette con le quali stavi ascoltando la musica e smetti di immaginare, affacciati alla finestra e guarda cosa sta succedendo al mondo.
Hai visto? Non era solo una storiella.
Lalli, Liceo D’Oria


23 Febbraio 2020 – 25 Marzo 2021

Venticinque mesi di chiusura di teatri, cinema, musei e tutti i luoghi della cultura. Sono stati i primi a dover tirare giù le serrande ma ancora oggi non sanno quando potranno riaprirle e nessuno nei palazzi del potere sembra essere interessato a spiegare quando riapriranno e in che modo.  Come sappiamo, infatti, i teatri non possono riaprire da un giorno all’altro, perché la vita di un teatro richiede tempo, programmazione, cura e lunghe prove.
Certo, fare teatro è un lavoro particolare, sicuramente diverso dagli altri, ma è ugualmente un lavoro che deve essere tutelato. Artisti, professionisti, tecnici che spesso arrivano a lavorare giornate e notti intere, sia mentalmente che fisicamente, per regalare al loro pubblico una o due ore di puro godimento, evasione e divertimento, sono gli stessi che oggi sono costretti forzatamente a rinunciare al loro diritto, cioè il lavoro.
Ma il teatro, come più in generale l’arte, non offre solo divertimento e svago, esso è infatti un potentissimo strumento di diffusione della cultura e della bellezza, la bellezza che educa, addolcisce e aiuta ad essere tolleranti. A teatro si impara, si riflette, si pensa e si cresce.
Inoltre, mi sembra un paradosso che un paese come il nostro, che vanta un patrimonio artistico e culturale fra i primi al mondo, abbia deciso di sacrificare e dimenticare definitivamente la propria identità che da sempre lo contraddistingue. Dico definitivamente perché purtroppo la crisi della cultura è in atto da molto prima dell’attuale pandemia: teatri messi in disparte, musei sempre più impolverati e cinema messi in ginocchio dai nuovi sistemi di “Home Cinema” (Netflix, Amazon Prime, Infinity ecc.). Assistiamo, dunque, costernati alla morte della cultura e dell’arte.
Maddalena Rutelli, 5 F Liceo D’Oria


Il teatro in tempi di pandemia, breve riflessione

Marzo 2020. Silenzio. Sipari chiusi, luci spente, poltrone vuote. Opere d’arte solitarie si ergono in stanze buie e deserte. Una cattedra, dei banchi, delle lavagne, tutti puliti e in ordine, desolati. I palcoscenici di tutto il mondo mettono in scena il nulla. Dando uno sguardo alle strade e alle città ci si chiede dove sia finito l’uomo.
Sfiniti, siamo arrivati a marzo 2021. Tra uno sforzo e l’altro alcune attività sono ripartite, come ristoranti e negozi. Ma il mondo della cultura che fine ha fatto? sembra essere rimasto in secondo piano, “attività non essenziali”, ma che in realtà da un punto di vista spirituale, lo sono (tralasciando anche che danno lavoro a un gran numero di persone). Teatri, scuole, musei, concerti, sono state alcune delle vittime sacrificali della pandemia.
Perché queste attività costituiscono una forma di socializzazione, riguardano una collettività. Ma spesso e purtroppo ci si scorda di quanto siano fondamentali. Si crede che una copia virtuale possa sostituirle, ma non è così. Attività come musei e scuole possono sicuramente optare per opzioni temporanee, di didattica online. Ma di certo non si può dire lo stesso per il teatro.
Il teatro non si può fare tramite uno schermo. Il teatro è tridimensionale. Il teatro è vita. È realtà nella sua finzione. Poiché è uno scambio di emozioni, fra l’attore e il pubblico, e queste sono reali. Chi è l’attore poi, senza il suo pubblico? Che senso ha un’opera d’arte, se non viene ammirata da qualcuno? Ma non è solo questo. A teatro in scena c’è l’uomo e il dramma o la commedia della sua esistenza. Lo spettatore si riconosce in quell’uomo, e subito si sente meno solo.
Abbiamo bisogno di teatro più che mai, soprattutto ora che è stato chiuso, perché come non mai in questo periodo abbiamo provato la solitudine più totale, il senso di vuoto, la mancanza di contatto umano. Andare a teatro significa entrare a far parte, anche se temporaneamente, di una collettività, condividere per un attimo lo stesso stato d’animo, sfogarsi, stare in compagnia, riflettere, cambiare punto di vista sulla vita. Tornare a casa un po’ più diversi di prima, meno soli, pieni di adrenalina e di energia. A causa di questa pandemia le giornate sono diventate monotone, molti di noi sono stati costretti a stare davanti a un computer ogni giorno, ad avere i social network come unica forma di socialità e di rapporto con l’altro. Mai ci siamo sentiti così distanti dagli altri esseri umani, dai nostri amici e dai nostri affetti, ma anche da noi stessi. E mai ci siamo sentiti tanto alienati, assenti, avviliti.
Abbiamo bisogno di provare quella “catarsi” di cui è capace il teatro, ossia la “purificazione”. Quando gli attori sono in scena e vivono – perché vivono, non recitano e basta – condividiamo con loro emozioni positive e negative, e contemporaneamente ce ne liberiamo. Durante uno spettacolo, spero il più presto possibile, potremmo rivivere tutte quelle emozioni contrastanti provate in questo strano periodo, liberarci delle negative, di tutti quei momenti di rabbia, angoscia e confusione, che abbiamo represso nel grigio delle nostre stanze. Perché il teatro è terapeutico, è liberatorio, è grido di energia vitale.
Nel grigio di questo momento storico, nulla come il teatro potrebbe riportare un po’ più di colore, sia in noi stessi, sia nel rapporto con l’altro.
Manuela Peluso, 5 F Liceo D’Oria


Il teatro ai tempi della pandemia       

Oh quanto mi manca il teatro, una delle forme d’arte più belle e antiche del mondo che mischia insieme la cultura con il divertimento. Il teatro fa provare una miriade di sensazioni e sentimenti che ti avvolgono come una candida e calda coperta; mi manca ogni singolo dettaglio del teatro, i sedili rosso ciliegia che emanano un odore intenso e particolare, le grandi tende che rimangono chiuse celando agli spettatori le meraviglie che si trovano dietro di esse, il silenzio rilassante e totale che ricopre tutta la sala prima dello spettacolo. Anche se un po’ fastidiosa mi manca la fila per il biglietto, molto lunga e un po’ snervante e a volte infinita se si arrivava tardi ma la fila per il biglietto è una parte credo essenziale, ti invoglia sempre di più a prendere quel pezzo di carta in mano che sarà il tuo passaporto per poter vedere le meraviglie del teatro.
Mi mancano le luci accecanti che possono cambiare in pochissimo l’aria che si respira sull’intera scena e le emozioni che arrivano allo spettatore, la scenografia vissuta per via delle varie tourneé e piena di colori sgargianti, il retroscena occupato dai tecnici che rimangono vigili e pronti per far si che lo spettacolo vada a buon fine senza intoppi e dagli attori che liberano la mente poco prima di entrare in scena, i camerini dove gli attori passano da camerino a camerino facendosi intravedere da chi vuole incontrarli per congratularsi con loro finché poi ad un certo punto escono allo scoperto e usano le loro ultime forze per salutare e parlare con il pubblico. Ma la cosa che mi manca di più è quando stavo un’ ora prima che arrivasse qualcuno, da solo in mezzo alla sala ad ascoltare un po’ di musica o a godermi il silenzio pensando tra me e me. La sala vuota è come un grandissimo materasso morbido dove puoi riposare e riflettere senza intrusi o rumori molesti, un vero e proprio paradiso.
Scrivendo questo testo mi sono reso conto di tutte le bellezze che il teatro può mostrarci e ho capito che mi manca moltissimo, magari dopo questo lunghissimo momento di attesa tornerà con un’entrata trionfale che ci sconvolgerà tutti ma per ora dobbiamo solo pazientare e andare avanti.
Pietro Zavatteri, 2 F Liceo D’Oria


“Fino al giorno in cui mi minacciarono di non lasciarmi più leggere, non seppi di amare la lettura: si ama, forse, il proprio respiro?”  Harper Lee 

Stringerti tra le braccia mentre cerchi di fumare una sigaretta nell’intervallo, il freddo che ti penetra nelle ossa e ti lascia col fiato spezzato; l’emozione di essere davanti alla rappresentazione di una storia in cui tanto ti rivedi; prendere posto in una poltroncina di velluto scarlatto e osservare se le persone intorno a te sono in frenesia almeno quanto lo sei tu, se anche per loro l’attesa è insostenibile oppure sei il solo pazzo che non vede l’ora si aprano le quinte e inizi la magia; persino il rumore di un telefono lasciato acceso ti manca, caro mio spettatore. Sì, sto parlando con te, proprio come Calvino parlava al suo Lettore alle prese fra il libro introvabile e la bella Ludmilla. Lo so che stai lottando e che forse ti senti anche un po’ idiota per non esserti reso conto di amare così tanto il teatro fino al momento in cui non ne hai più potuto varcare la soglia. Non potevi immaginare che fra tutti i sacrifici impostici in una belin di pandemia ci sarebbe stata anche questa rinuncia, e guarda che io ti capisco.
Un anno fa ero seduta a vedere I fratelli Karamazov di Dostoevskij, c’eri anche tu? Bene bene, allora sai di cosa sto parlando. Forse avrai provato anche tu quello scossone dopo che lo spettacolo è terminato, quell’ondata di realtà e stupore che ha travolto un po’ tutti. Non solo chiudono i teatri ma fra le stelle del firmamento di attori e registi alcune si sono spente e con queste supernovae, che del teatro erano prosopopea, anche un frammento del nostro cuore si è sgretolato. Il teatro o meglio, il non poterci andare, ha creato un vuoto così grande in noi perché il teatro è amore, è sedersi in mezzo ad una platea e rendersi vulnerabili davanti a tutti , è pianto o riso o dolore, è incanto. Ogni dannato giorno siamo attori della nostra vita, i protagonisti indiscussi, sappiamo che qualsiasi nostra scelta ci porterà in una direzione piuttosto che in un’altra e ci accorgeremo se sarà stata giusta soltanto quando sarà ormai troppo tardi per cambiare le cose; però avevamo anche questo grande privilegio di andare a teatro una volta tanto, o quasi ogni giorno per gli amanti più insaziabili, e allora potevamo prendere per un attimo respiro dal fuoco delle nostre esistenze, sederci per un’oretta o due ed essere spettatori di una vita che non avremmo mai vissuto.
Susan Correa, 5 F Liceo D’Oria


L’idea del disegno nasce dal concetto di prigione che tutti noi abbiamo dovuto affrontare negli ultimi tempi, per la nostra protezione; da questo il sipario che adesso avvolge una figura femminile isolandola da ciò che la circonda.
La figura centrale è invece ispirata a Melpomene, la quale nella mitologia greca era la Musa della tragedia, rappresentata sempre con in mano una maschera tragica.
La Musa indossa in questo caso una mascherina, al posto della sua maschera, ed è senza volto, per richiamare l’impossibilità degli attori in questo periodo di potersi esporre al pubblico.
Beatrice Bollo, Liceo Klee Barabino

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